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Monday, 19 settembre 2005

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie...

Eccomi ancora qui come un virtuale Don Chiscotte a combattere i mulini a vento e a difendere i miei lidi di riposo e pace dagli attacchi degli scellerati che osano violare il mio idillio.

Lo so non sarà facile risollevare le sorti del vostro pensiero sui videogiochi, ma cercate di dimenticatevi di ciò che pensate/sapete o pensare di sapere.

Il titolo del post serve per elevare il livello medio del post e a darmi un’aria boriosa e perché proprio ieri è stata citata, a caso naturalmente, durante una breve discussione; ma anche per introdurre l’argomento che voglio trattare.

Fatta questa noiosa, per quanto doverosa premessa, iniziamo a parlare della poesia nei videogiochi.

“Come ti permetti di avvicinare una forma d’arte eccelsa a una giovanile forma di ricreazione?”.

Potrei dare molte risposte a questa domanda, potrei, in maniera molto intelligente, fare finta di niente, ma visto che l’intelletto non è dalla mia risponderò che il blog è mio e ci faccio ciò che voglio.

Oggi porto ad esempio un videogioco che, purtroppo, passò inosservato ai più nonostante avesse ricevuto gli elogi della critica e la spassionata ammirazione dei pochi commossi giocatori che lo comprarono.

Cos’ha di particolare ICO?

L’incipit del gioco non è sicuramente dei più originali visto che si tratta di fuggire da un castello, tra l’altro bellissimo e coerente dal punto di vista architettonico, dove il nostro alter ego è stato rinchiuso vista la sua anormalità, è portatore di due corna (niente di strano diranno le donne) ma in una società collocata approssimativamente nel medioevo questo non era certo fonte di vanto.

Il gameplay, ovvero la tipologia di gioco composta da comandi, operazioni possibili e quant’altro influenzi l’esperienza di gioco, non è certo innovativo rispettando i classici canoni del settore.

La sfida che offre al giocatore è quantomeno ridicola visto che è impossibile morire e che il gioco non brilla per longevità.

La trama? Diciamo che non esiste.. anche se il protagonista deve salvare sia se stesso sia una ragazza anch’essa imprigionata per una sua diversità, i due non comunicano mai visto che non parlano la stessa lingua e la ragazza sembra inoltre molti reticente ai rapporti interpersonali.

Le musiche sono quasi del tutto assenti ma sono presenti rumori "ambientali" fruscio di foglie, scrosciare di acqua, ecc,,.

Ma allora perché questo gioco è definito da molti come il più vicino esempio di poesia in ambito videoludico?

Cercherò di dare una mia interpretazione. Proprio come nella poesia non è certo il tema trattato o le parole usate (amore/cuore/dolore/….) che coinvolgono emotivamente il lettore, ma la capacità dell’autore di creare immagini oniriche che stimolino la fantasia del lettore e suscitino partecipazione emozionale in chi legge.

ICO riesce in questo in maniera molto tenera, infatti ogni giocatore crea una storia che non c’è, semplicemente perché l’insieme delle percezioni che coglie (vista, udito)  stimolano l’animo che non ritiene sufficiente ciò che il gioco da  e cerca di creare un universo coerente.

Come nel sabato del villaggio di G. Leopardi (tipico poeta da pelliccia…… si lo so è vecchia ma non resistevo…) l’autore ci da solamente qualche informazioni marginale e personale sull’universo dei due innamorati, si d’accordo solo uno era innamorato.

Il resto lo crea il lettore… chi non ha immaginato Giacomo spiare da dietro le imposte? Cosa pensava la ragazza di quel maniaco che la spiava, oltretutto anche brutto? Le amiche la prendeva in giro? I genitori lo sapevano e accettavano visto che era un “buon partito”? Chi non ha immaginato il “pessimista cosmico” calcolare le tempistiche dell’amata in modo da incontrarla “casualmente” in strada o semplicemente per non saltare l’appuntamento alla finestra? Chi non ha immaginato la fervida immaginazione del poeta lavora freneticamente per creare immagini… vabbè avete capito..

In ICO non si riesce a non scrivere mentalmente una storia d’amore, sia esso fraterno o dolcissimo di due giovani innamorati uniti nelle avversità.

La donzella al seguito infatti risulta più un impiccio che una risorsa per superare le difficoltà proposte dal gioco, infatti per farla camminare è necessario tenerla per mano o al limite chiamarla per farle percorrere brevi e semplici tratti di strada; ad aumentare il senso di protezione che si ha sulla ragazza è la sua incapacità di difendersi, se lasciata troppo tempo da sola infatti delle ombre faranno in modo di catturare la ragazza e dare il “Game Over”. Visto che con un bastone possiamo facilmente sbarazzarci delle ombre va da se che il pericolo non sono le ombre stesse quando la distanza che mettiamo tra i due.

L’indissolubile legame che unisce i due non fa che rafforzare il bisogno di creare una storia che vada oltre quello offerto dai programmatori, e questa storia è personale, ogni giocatore gli da le sfumature che vuole, da delle finalità diverse al loro rapporto.

Perché il giovane aiuta la ragazza che gli è di peso e di nessun aiuto? Cosa prova per lei? Perché lei è così silenziosa? Cosa l’ha portata lì dentro visto che non ha deformazioni fisiche evidenti? Cosa sperano di fare insieme una volta fuori, loro “diversi” in un mondo che non ha esitato ad esiliarli già una volta?

Alla fine quindi il messaggio che ognuno trae dal gioco è personale e nasce dal proprio cuore e dalle esperienze personali, arricchendo l’avventura videoludica in maniera unica ed esclusiva proprio come una poesia.

Per chi è interessato al gioco ecco una bella recensione on-line (http://www.everyeye.it/ps2/articolo.asp?id=825)

Saluti

»12:49 PM    »2 comments    

Posted by: frunti
Modified on September 19, 2005 at 1:07 PM
Morire di Videogiochi

Oramai abbastanza periodicamente leggo o ascolto notizie di ragazzi, soprattutto asiatici, che muoiono per aver videogiocato troppo (persone, evidentemente con problemi sociali” che giocane 20-30 ma anche 40 ore consecutive a giochi via internet, soprattutto giochi di ruolo) e di ragazzi, soprattutto americani, che “impazziscono” e uccidono o rubano per aver giocato un particolare tipo di videogiochi.

Lo so che ho trattato quest’argomento giorni fa, ma oggi leggendo mi è arrivato un altro input e lo scrivo per non dimenticarmelo.

Ogni volta viene fuori la solita predica del “divulgatore di saggezza”  di turno, il quale non avendo niente di meglio da fare (o di saper fare) che cavalcare l’onda dell’ipocrisia, invita ad un controllo serrato sui videogiocatore.

Premetto che non sono un fruitore dei giochi on-line.

Ma scusate se gioco mi devono controllare, ma se fumo troppe sigarette non mi dice niente nessuno, a parte chi mi vuole bene o chi mi sta vicino, anche se è provato che uccide; se bevo troppi alcolici il barista non mi consiglia di smettere, devo “sperare” che il poliziotto/carabiniere di turno mi fermi prima di fare stragi o di abbracciare un albero con la macchina.

Se poi mi dilettassi con l’onanismo fino a diventare cieco o a farmi crescere i peli sulle mani chi si farebbe avanti per controllarmi?

Ve lo dico io… NESSUNO.

E allora perché dovete rompermi le bolle (come dice la simpatica particella di sodio) con i videogiochi? Lasciatemi in pace, se voglio farmi del male fatemi scegliere come..

E poi bisognerebbe considerare il fatto che molte persone riescono ad autoregolarsi e non siamo tutti nati con il DNA del serial killer.

C’è scandalo perché in Cina hanno aperto una clinica per la disintossicazione dai videogiochi.. ma non esistono simili cliniche per il fumo, le droghe e per il sesso?

Visto che non fumo, che bevo come un’educanda e che non ho peli sulle mani (porto gli occhiali da vista MA non sono cieco) lasciatemi almeno questo “vizio” e andate a controllare gli anziani che rigano le macchine per noia o alla ricerca di attenzione…

Saluti

 

»12:47 PM    »1 comments    

Posted by: frunti
Thursday, 15 settembre 2005

Pensiero Osceno

Sono nel luogo deputato alla lettura, al bagno, e sto leggendo un articolo, ma mi sono fermato perché ho trovato uno spunto particolare:

Massimo Maietti nel suo articolo “Videogiochi di carne” dice:

“… Altro elemento comune è l’uso ricorrente della ripresa in soggettiva, vale a dire la visuale in prima persona che, fra i media visivi, viene usata come forma standard solo in questi due generi”.

Per ripresa in soggettiva e visuale in prima persona si intende quando quello che vedo sulla TV dovrebbe rispecchiare quello che i miei occhi dovrebbero vedere nella scena dal vivo.

Visto che uno dei due media è, evidentemente visto che ne parlo io, il videogioco l’altro qual è?

Cacciare i vostri genitori dal monitor prima di continuare a leggere e aprite una pagina web sul sito della repubblica (www.repubblica.it). in modo da premere velocemente ALT+TAB per cambiare pagina.

L’uso di questo tipo di inquadratura è molto usato nel cinema PORNO.... che brutta parola da usare, siamo proprio incivili.

Ma è solo questo che accomuna due mondi così lontani?

Come afferma lo stesso Maietti raramente l’interazione tra i due media è stata quantomeno decente; esistono giochi porno, ma sono lontani dalle basilari espressioni videoludiche (fondamentalmente non ci si diverte) e sicuramente saranno stati introdotti in alcune fantasiose trame del film il concetto di videogioco come mezzo interattivo o come realtà virtuale (ma come potete immaginare è solo una scusa per mostrare la pornografia).

Me veniamo a quelli che per me sono le cose in comune tra i due media:

a)       Sono media underground, ovvero non considerati dalla “critica d’élite”;

b)       hanno un range di età del consumatore molto ampio;

c)       tendenzialmente che ne è appassionato non lo ha come tecnica di approccio in ascensore in alternativa al meteo o al “che governo di ladri!”;

d)        molti capolavori sono nati nelle case da intraprendenti e volenterosi personaggi che con pochi mezzi hanno creato qualcosa di notevole.

Certo che sono molti e “inquietantemente”  simili!

A questo punto mi sento in dovere di scusarmi con i miei genitori e gli ignari amici che non conoscono la mia perversione per i videogiochi.

Ma ricordate che con i DVD o le console non sono affatto feticista..

 

Paolo

»6:46 PM    »3 comments    

Posted by: frunti
Modified on September 16, 2005 at 1:06 PM
Regressione

Dopo aver difeso a spada tratta il videogioco elevando ad Arte; rendendo utile come memoria catastale e aver respinto le accuse di ipocrisie……..ecco che mi faccio il più clamoroso degli autogol, del tipo respinta del portiere sul sedere del difensore e palla sotto il sette..

È possibile regredire videogiocando?

Parlando nel senso più Darwinano del termine secondo la mia esperienza personale si.

Intendo “Darwiniano” nell’eccezione più estremista, ovvero una involuzione naturale dell’uomo verso la bestia.

Drizzate le orecchie genitori preoccupati, anchorman televisivi, conduttori di Matrix vari e giornalisti con poca fantasia, perché sto per mandare la palla in buca d’angolo perdendo definitamene la contesa.

Non posso certo negare il fatto che anche io, come molti serial killer in erba, mi diletti con i giochetti kill’em all, pura apoteosi blastatoria e la ricerca del frag più veloce…

Come dite? Non capite di cosa stia parlando? Presto detto. Sto parlando dei giochi di guerra dove l’uso delle armi di sterminio di massa sono il sogno bagnato di tutti i giocatori.

Secondo voi cosa c’è di meglio per fare imprecare, urlare, insultare e quanto di più vicino c’è all’animo bestiale una comitiva di trentenni di uno stadio piuttosto di ufficio delle tasse o di una fila alle poste oppure di una rotatoria stradale (certo che sono molte le occasioni per vedere un uomo imbestialirsi)?

Io vedo quasi tutte le settimane da 4 anni oramai.

Date a questi rappresentanti dei trentenni del XXI secolo una console, un televisore e un gioco di guerra a testa e aspettate che lo stress accumulato da ognuno fuoriesca come un fiume in piena, ma non contenente fatto di detriti, di rifiuti urbani e di liquami ma parolacce, improbi, minacce e offese di vario genere.

Un occasionale pedone che si ritrovi nei paraggi di questo assembramento di persone penserà di essere un emulo di Dante trasporto alle porte dell’Inferno e si potrà vederlo cercare Caronte nella speranza di raggiungere quantomeno il Purgatorio.

Visto che ora la frittata è fatta e che oramai ogni tentativo futuro di risollevare le sorti del videogioco verrà tarpato da questo trafiletto, siate almeno clementi e “abbiate pietà” di noi poveri essere inferiori e in via di estinzione.

 

Paolo

»10:59 AM    »2 comments    

Posted by: frunti
Tuesday, 13 settembre 2005

La persistenza della memoria.

Quando un’opera nata per divertire o comunque per un determinato motivo, ha anche la funzione di far mantenere una memoria storica di qualcosa?

Sicuramente in molti casi, io ve ne riporto due di mia diretta conoscenza.

Dimostrazione n.1

Videogioco – Shenmue II

Shenmue2© uscito per Dreamcast© nel 2001 e successivamente per Xbox© nel. 2002 oltre ad essere uno dei più bei videogiochi di sempre grazie all’alchimia che lega varie tipologie di gioco in maniera perfetta e unito al fatto che racconta una delle più belle storie di sempre,e non parlo solo in ambito videoludico, è anche una memoria storica importantissima.

Questo grazie al suo ideatore Yu Suzuki, creatore tra l’altro di giochi storici come Hang On© e Out Run©, è famoso per la sua ricerca dell’accuratezza.

Shenmue2© ha infatti un suo lungo capitolo ambientato a Kowloon, quartiere ora residenziale di Honk Kong. L’accuratezza dei particolari ha fatto si che nel gioco sia presente quasi tutto il quartiere “congelato” al momento della creazione del videogioco, comprensivo di templi, negozi e angoli caratteristici (a costo di mesi di sopralluoghi e di programmazione, che hanno fatto lievitare i costi di produzione fino a rendere il gioco uno dei più esosi di sempre).

Ora tutto questo non esiste più, visto che il quartiere è stato completamente raso al suolo e ricostruito con i più moderni criteri architettonici, ma per chi vuole girare almeno virtualmente per il quartiere com’era una volta basta inserire il DVD del gioco (o GD-rom nel caso del Dreamcast©).

Dimostrazione n.2

Film di Animazione – Una tomba per lucciole

Il film di animazione “Una tomba per lucciole” di Isao Takahata dello studio Ghibli uscito nel 1988 (1999 in Italia distribuito dalla Yamato Video) e un film tratto da un libro di Akiyuki Nosaka che narra la storia di due fratelli abitanti a Kobe durante la seconda guerra mondiale nei giorni del bombardamenti incendiari americani.

La storia oltre ad essere molto bella tratta un argomento “pesante” per essere un “cartone animato”.

Nel film infatti si tratta l’argomento della morte, distruzione, malattie, povertà e tutto quello che è generato dalla guerra. Il film è stato creato da un famoso studio di animazione giapponese, tanto che alla prima erano presenti molti bambini che rimasero ovviamente scioccati alla vista di queste immagini, tra le altre quelle di persone ustionate. Lo studio si fece poi perdonare con la proiezione immediatamente successiva del FAVOLOSO “ Tonari no Totoro” (Il mio vicino Totoro) film di una bellezza e di una poesia straordinaria, ma questo è un altro discorso.

La scrupolosità della ricostruzione di Kobe, grazie a foto e filmati d’epoca, è stata talmente elevata da stupire perfino l’autore del libro, che era molto reticente in merito alla trasposizione del suo racconto autobiografico in “cartone”, che ha potuto rivedere i luoghi della sua infanzia.

La città è ricreata in maniera quasi perfetta e “ibernata” ai giorni precedenti ai bombardamenti che di fatto la distrussero completamente.

Se volete vedere com’era Kobe prima dei bombardamenti incendiari americani o se volete semplicemente vedere un bel film vi consiglio di procurarvi “Una tomba per lucciole”.

  

Paolo

»11:46 AM    »3 comments    

Posted by: frunti
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